Out
of this World
When
we speak about the world which are we speaking about ? About the world
of cosmologists, about the world of values, of the physical world, of
the world of perception, of our private and daily world or of the world
built by others ? Or rather of the world which we can see, belonging to
the spirit, of technology of the world transmitted by means of language,
and then ... there is the world of art which embraces them all.
The theme of this exhibition evokes and makes one think of the world
beyond or of a world here, and that is a threshold upon which
we stand as observers and as individual subjects, a point or better a
dimension from which to interact and create our experience. We cannot
think of an outside without thinking of an inside. Thus it
becomes necessary to reflect upon that which we believe to be outside
and that which we believe to be inside.
Starting then from the individual and "Out of this World" is
not a condition of absence, of estrangement, yet rather the act of
shifting one's gaze and perspective; it gives a suggestion of heading
towards something; a trajectory leading out of the center towards the
unknown: in every adventure the artists project themselves on to this
unknown elsewhere by means of symbolic communication.
In order to tackle such complexity we have, therefore, to understand
what sort of world lies before our eyes. The choice of withdrawal from
the world in as much as it is structured by rules and regulations, does
not necessarily entail refusal or rejection of a world which is
essentially ostile. Whoever acts by means of the language of art tells
us about him or herself and as far as possible, reveals a private world.
To this one may respond with total committal, or with an unbearable
distance; there again the stories and images are infinite. It is certain
that no art exists without some reference to reality (whatever reality
it may be, virtual or not) and to form. The storytelling of each one,
transfigured, then encounters universal form. Throughout this process
the risk, if we can speak of risk, is taht the ratification of language,
which is then also the ratification of thought. Phenomenal reality
invades art which renders it under the guise of metaphor, of elusiveness
and wonder.
The destiny of art is becoming more and more a dialectic between
humanism and technology. Technology is becoming our world and it is
never neutral , because it creates which is inevitably transformed.
Technology alters our thoughts, our body, our desires, and our
relationships. Do we have any possibility of escaping from this world
ora ta least of inhabiting another ? We cannot foresee what will happen
to us and therefore evry moment, evry instant we reach out for the
unknown, thus enabling the human to continue to exist: this is
the sphere of art.
Quando
parliamo del mondo di quale mondo parliamo? Del mondo dei cosmologi, del
mondo dei valori, del mond fisico, della percezione, del nostro mondo
privato e quotidiano o di quello costruito da altri? Oppure del mondo
osservabile, dello spirito, della tecnica, del mondo trasmesso
attraverso il linguaggio, e poi ... c'è il mondo dell'arte che li
racchiude tutti.
Il tema di questa mostra suggerisce e fa pensare a un al di là o
a un al di qua, e cioè a una soglia dalla quale ci poniamo come
osservatori e come soggetti-individui, un punto o meglio una dimensione
dalla quale interagire e creare la nostra esperienza. Non si può
pensare ad un out senza pensare a un inside. Si impone
così una riflessione su ciò che consideriamo esterno e ciò che
consideriamo interno.
Si parte dunque all'individuo e "Out of this World" non è una
condizione di assenza, di allontanamento, ma piuttosto un atto di
spostamento dello sguardo e di prospettiva; presuppone un dirigersi
verso; una traiettoria fuori dal centro che conduce verso ciò che non
si conosce: ogni avventura dell'artista è agire proiettandosi su questo
altrove sconosciuto attraverso la comunicazione simbolica.
Per affrontare tale complessità dobbiamo capire dunque che tipo di
mondo abbiamo sotto gli occhi. Non è detto che la scelta di sottrarsi
al mondo in quanto struttura regolamentata voglia dire rifiuto e rigetto
di una realtà sostanzialmente ostile. Chi agisce attraverso il
linguaggio dell'arte raconta di sé e nella dinamica del possibile,
mette in scena il proprio mondo. A ciò si può rispondere con adesione
assoluta, oppure con un'insostenibile lontananza: d'altronde le storie e
le immagini sono infinite. E' certo che non esiste arte senza
riferimento alla realtà, (qualsiasi realtà sia, virtuale e non) e alla
forma. La narrazione individuale incontra poi, trasfigurandosi, la forma
universale.
In questo processo il rischio è semmai quello dell'omologazione del
linguaggio, che è poi omologazione di pensiero. La realtà fenomenica
invade l'arte che la restituisce sotto forma di metafora, d'inafferabile
e di meraviglia.
Il destino dell'arte si sta profilando sempre di più come dialettica
tra umanesimo e tecnologia.
La tecnica sta diventando il nostro mondo e non è mai neutrale perché
crea un mondo che inevitabilmente ci trasforma. La tecnica modifica il
nostro pensiero, il nostro corpo, i nostri deisderi, le nostre
relazioni. Abbiamo qualche possibilità di uscire da questo mondo o per
lo meno di abitarne un altro? Non possiamo prevedere ciò che ci
accadrà e così ci sporgiamo ogni momento, ogni istante verso l'ignoto,
per dare possibilità all'umano di continuare ad essere: tale ambito è
l'arte.
Stefania
Carrozzini, Milano 8 marzo 2002
|